Con "Italia Graffiti", l'artista campano, naturalizzato romano, Giuseppe Palermo propone un progetto che si potrebbe definire, spazialmente ed intellettualmente parlando, una sorta di "outside in". Egli, infatti, servendosi della potente magia della fantasia, mista ad una buona dose di ingegno e spirito imprenditoriale tipica del buon meridionale, trasforma una macrorealtà socio-estetica, spesso anche politica, a metà strada tra protesta e vandalismo, come quella dei graffiti, dei tag, dall'aerosol art o del "writing" — così originariamente definita a Filadelfia negli anni '60 e tipica delle stazioni ferroviarie dismesse, dei sobborghi metropolitani, delle periferie e dei ghetti —, in vera e propria arte "da galleria", in complemento d'arredo e di design dalla forte e travolgente personalità pop.
Molti i riferimenti culturali dei contenuti grafici che al contempo "rovinano" abbellendo i preziosi frammenti o "reperti" di murale di Palermo: dai tagger americani degli anni '80 e '90 contraddistinti dall'utilizzo di font fluo imprigionati in massicci e netti outline neri ai simboli-feticcio di Jean-Michel Basquiat; da Keith Haring ai fumetti cult come Popeye; da Rotella a Banksy. Un universo altalenante tra ricercata artificiosità ed originalità trash che, a conti fatti, risulta sibillinamente attraente, tanto da inculcare nello spettatore/fruitore quell'ossessione di possesso che si traduce in: "Lo voglio avere. Lo devo avere. Deve essere mio!".
Da non sottovalutare, infine, il messaggio sociale dell'artista che suggerisce, con questa sua ricerca, un'alternativa ai writer per commutare quello che viene considerato — e sovente lo è — un atto di vandalismo verso il tessuto storico e urbano delle città in una forma d'arte riconosciuta, stimata e commercializzata.